domenica 7 luglio 2013

Bardo Thodol: il libro tibetano dei morti commentato da Jung



Il libro Bardo Thodol è un libro di istruzioni per la persona defunta, una guida nei quarantanove giorni che intercorrono tra la morte e la rinascita; è qualcosa di simile al Libro egiziano dei morti.
Il testo è diviso in tre parti:

Chikhaibardo che narra gli eventi psichici al momento della morte;

Chonyid-bardo si occupa dello stato di sogno che subentra alla morte definitiva, le illusioni karmiche;

Sidpa-bardo riguarda l’inizio dell’impulso alla nascita e gli eventi prenatali.

A differenza del Libro egiziano dei morti, il Bardo Thodol contiene una filofia a portata di essere umano e si rivolge all’uomo, non a dèi o a primitivi.
La sua filosofia è la quintessenza della critica psicologica buddistica e come tale d’inaudita sublimità.
Non soltanto le divinità “irate” ma anche quelle “pacifiche” sono proiezioni samsariche della psiche umana.
Il Bardo Thodol ha il vantaggio, tanto sull’europeo illuminato quanto su quello non illuminato, di possedere alcune delle premesse metafisiche più essenziali.
Le affermazioni metafisiche sono asserzioni della psiche, e pertanto psicologiche. Allo spirito occidentale tuttavia questa verità appare o troppo evidente oppure inammissibile!
Ma è comunque la psiche che pronuncia asserzioni metafisiche in virtù della sua innata divina forza creatrice; è la psiche che stabilisce la distinzione di queste entità, e non è soltanto la condizione di questa realtà metafisica, ma è questa realtà stessa.
Il Bardo Thodol, è una guida attraverso le mutevoli  apparizioni della vita-bardo, cioè di quell’esistenza che si prolunga per quarantanove giorni dalla morte fino alla prossima incarnazione.
Se consideriamo la sovra temporalità della psiche possiamo trasportarci senza difficoltà nella situazione del defunto e considerare la dottrina del primo paragrafo:
Oh (tal de tali) di nobile nascita, ascolta. Adesso tu sperimenti l’irradiare della chiara luce della pura realtà. Riconoscila….. l’Interamente Buono. Il tuo proprio intelletto, che adesso è vuoto, non va però considerato come la vacuità del nulla, ma piuttosto come intelletto in sé, non impedito, luminoso, eccitante e beato, è la vera coscienza, il Buddha interamente buono.
Questa coscienza è lo stato di dharma-kaya della perfetta illuminazione, che nel liguaggio occidentale si esprime così: causa prima creatrice di tutte le asserzioni metafisiche è la coscienza come visibile e afferrabile manifestazione della psiche. La “vacuità” è lo stato che precede tutte le asserzioni, tutte le “posizioni”. La sapienza delle differenti manifestazioni è ancora latente nella psiche.
Continua il testo:
La tua propria coscienza splendente, vuota ed invisibile dal gran corpo dell’irradiazione, non ha nascita né morte ed è immutabile luce, Buddha Amitabha.
In realtà l’anima non è piccola ma è la splendente divinità stessa.
Se saremo capaci di dominarci fino al punto di astenerci dal nostro errore capitale che è quello di voler sempre fare qualcosa con le cose, riusciremo forse a trarre una lezione per noi importante e cioè che gli dei non sono altro che splendore e luce dell’anima personale.
Nella vita siamo incastrati in un’infinità di cose che si urtano, si oppongono a vicenda, dove non si riesce mai a capire chi in realtà abbia “dato” tutte queste cose date.
Il defunto se ne libera e quest’insegnamento ha il compito di assisterlo sulla via della liberazione.
Se noi applichiamo tale insegnamento alla vita di tutti i giorni, ricaveremo un vantaggio non minore, apprenderemo che il datore di tutte le cose “date” abita in noi.
La natura dell’uomo lo spinge a rifiutare di sentire sé stesso fattore delle cose “date”. Perciò questi insegnamenti furono sempre oggetto di iniziazioni segrete, alle quali di solito si accompagnava una morte figurata simboleggiante il carattere totale della conversione. In realtà l’istruzione del Thodol non è altro che l’”iniziazione del defunto” alla vita – Bardo.
Nell’iniziazione dei vivi l’aldilà non è affatto un aldilà della morte, bensì un rivolgimento nel modo di pensare, quindi un aldilà psicologico che si esprime cristianamente in una “redenzione” dai vincoli del mondo e dal peccato.
Un distacco, una liberazione che conducono da un precedente stato di tenebre e d’inconsapevolezza a uno stato d’illuminazione, di liberazione, superamento e trionfo delle “cose date”.
E’ un processo d’iniziazione inteso a ricostituire la divinità che l’anima ha perduto con la nascita” Evans Wentz
L’unico “processo d’iniziazione” tutt’ora esistente e usato praticamente nella sfera culturale occidentale è l’”analisi dell’inconscio” praticata dai medici.
Questa penetrazione nelle profondità delle radici della coscienza è una presa di coscienza del contenuto psichico non ancora nato, ancora in germe subliminale.
Questo settore corrisponde all’ultimo capitolo del Sidpa-bardoin cui il dipartito incapace di fare proprie le dottrine del Chikhai e del Chonyid-bardo, comincia ad abbandonarsi a fantasie sessuali per mezzo delle quali è attratto da coppie coabitanti per essere poi imprigionato in un utero e messo di nuovo al mondo.
Qui entra in scena il “complesso edipico” se il karma destina il defunto a reincarnarsi come uomo, egli s’innamorerà di sua madre in spe e troverà ripugnante e odioso il padre; viceversa se si reincarna come donna.
L’europeo passa per questo campo specificatamente freudiano quando si sottopone al processo analitico di presa di coscienza dei suoi contenuti inconsci, ma in senso inverso.
Questa conoscenza ci dà anche degli accenni su come leggere il Thodol, cioè all’indietro. Se riusciamo a comprendere un poco il carattere psicologico del Sidpa-bardo con l’aiuto della scienza occidentale, ci s’impone il dovere di rendere intellegibile anche il precedente Chonyid-bardo.
Lo stato Chonyid è uno stato d’”illusioni karmiche”, illusioni che poggiano sui resti psichici (o meriti) delle vite precedenti. L’idea orientale del Karma è una specie di teoria psichica dell’ereditarietà, basata sull’ipotesi della reincarnazione cioè in ultima analisi della sovratemporalità della psiche.
L’eredità psichiche sono fenomeni vitali essenziali che agiscono soprattutto psichicamente come vi sono  anche caratteristiche ereditarie che agiscono soprattutto fisiologicamente.
Una classe particolare di queste eredità psichiche  sono disposizioni  spirituali generali, va inteso un tipo di forme secondo le quali lo spirito classifica in un certo qual modo i suoi contenuti. Queste forme si potrebbero chiamare categorie in analogia con le categorie logiche che, sempre o dovunque presenti, sono premesse indispensabili della ragione soltanto che non si tratta di categorie della ragione ma di categorie dell’immaginazione.
Forme archetipiche fantastiche si riproducono spontaneamente sempre e dovunque, senza che sia neppur pensabile la minima trasmissione diretta.
Le componenti strutturali primigenie della psiche hanno la stessa sorprendente uniformità di quelle del corpo visibile. Gli archetipi sono in certo qual modo organi della psiche prerazionale.
Strutture basilari caratteristiche eternamente ereditate, prive dapprima di contenuto specifico, che si manifesta solamente nella vita individuale, dove l’esperienza personale è rintracciabile proprio in queste forme.
Se gli archetipi non fossero presenti in forma identica, come si potrebbe, ad esempio, spiegare il fatto che il Bardo Thodol presuppone ad ogni passo che i morti non sappiano di essere morti, e che quest’affermazione è rintracciabile con la stessa frequenza nella più banale letteratura spiritistica d’Europa e d’America?
Perché è un’idea della più primordiali e universali quella che i morti continuino semplicemente la loro vita terrestre e che frequentemente non sappiano di essere spiriti defunti. E’ un’idea archetipica che si manifesta subito in modo evidente non appena qualcuno vede uno spirito.
Sidpa = “bardo della ricerca della rinascita”
La psicologia sidpa consiste nel voler vivere e nascere, questo stato in sé no consente perciò esperienze di realtà trans-soggettive, a meno che l’individuo si rifiuti categoricamente di rinascere nel mondo della coscienza. Secondo la dottrina del Thodol, in ogni stato bardo sussiste la possibilità di ascendere il quadrifronte monte Meru verso il dharma-kaya, purchè il defunto non si lasci andare alla propria tendenza di seguire le luci fioche.
Tradotto nel nostro linguaggio, vuol dire opporre resistenza disperata al preconcetto razionalistico, rinunciando così alla supremazia, consacrata dalla ragione, del proprio essere Io.
Una specie di morte figurata, la fine della vita coscientemente razionale e moralmente responsabile e una sottomissione volontaria a ciò che il Thodol chiama illusione karmica prodotta da un’immaginazione sfrenata.
Si parla spesso dei pericoli del malfatto yoga Kundalini, lo stato psicotico prodotto intenzionalmente che talvolta, nel caso di individui dalla mente turbata, si trasforma, in determinate circostanze, in una psicosi vera e propria, è un pericolo che va preso molto sul serio.
E’ come un’intromissione nel destino che, operando nel più profondo dell’esistenza umana, può aprire la strada a molti dolori, ai quali a mente sana non ci saremmo  mai sognati di pensare e ai quali corrispondono le torture infernali dello stato chonyid che il testo illustra nel modo seguente:
“Il dio della morte ti avvolge una fune intorno al collo e ti trascina, ti taglia la testa, ti estrae il cuore, ti strappa le budella,…..ma tu non riesci a morire. Il tuo corpo anche quando è fatto a pezzi si ricostituisce. Questo ripetuto smembramento è causa di dolori e tormenti spaventosi.”
L’equivalente psicologico di questo smembramento è la dissociazione psichica nella sua forma deleteria, la schizofrenia (dissociazione dello  spirito).
Il passaggio dallo stato sidpa allo stato chonyid è un pericoloso rovesciamento delle aspirazioni e delle intenzioni dello stato conscio, un sacrificio della sicurezza del conscio essere Io e un abbandonarsi alla massima insicurezza di un gioco caotico di figure fantastiche.
La paura del sacrificio di sé sta in agguato in ogni Io, e quella paura è la pretesa delle potenze inconsce di giungere ad esercitare interamente la propria influenza.
Nessuno può divenire Sé (individuazione) senza sottostare a questo pericoloso passaggio, poiché anche ciò che temiamo fa parte dell’interezza della psiche, il sub o super-mondo delle dominanti psichiche, dal quale l’Io si è emancipato soltanto a fatica e soltanto fino a un certo livello, verso una libertà più o meno illusoria.
Questa liberazione è un’impresa eroica necessaria ma non definitiva perché la creazione di un soggetto necessita l’opposizione dell’oggetto.
Questo oggetto, sembra, sia il mondo che anche a questo fine è gonfiato dalle proiezioni.
Cerchiamo e troviamo le nostre difficoltà, cerchiamo e troviamo il nostro nemico, cerchiamo e troviamo ciò che è amato e prezioso, e fa piacere sapere che tutto il male e tutto il bene sono al di fuori, in un oggetto visibile dove è possibile superarli, punirli, annientarli e benedirli.
Ci sono persone che ritengono che il mondo e tutto quel che vi si esperimenta  siano di natura allegorica e rappresentino quel che giace nascosto nel soggetto stesso, nella propria realtà trans-soggettiva.
Secondo la dottrina lamaistica, questa profonda intuizione è lo stato chonyid ragione per ci il Chonyid-bardo porta anche il titolo bardo dell’esperienza della realtà (bardo=vita).
Il Chonyid-bardo è la realtà dei pensieri, le cosiddette“forme pensiero” che appaiono come realtà, la fantasia assume forma reale, e il sogno spaventoso, evocato dal karma e dalle dominanti inconsce, comincia. Per primo appare come un compendio di tutti i terrori, l’annientatore dio della morte; seguono (leggendo il testo all’indietro), ventotto potenti orribili dee e cinquantotto “divinità vampiri che”.
Le divinità sono organizzate in mandala (cerchi) contenenti la croce dei quattro colori i quali si riferiscono a quattro forme di saggezza:

1)      Bianco = il sentiero di luce della saggezza simile a specchio.

2)      Giallo = il sentiero di luce della saggezza della parità

3)      Rosso = il sentiero di luce della saggezza che discerne

4)      Verde = il sentiero di luce della saggezza che tutto opera.

Su un gradino più alto dell’intuizione, il dipartito sa che le vere forme di pensiero emanano da lui stesso, e che i quattro sentieri di luce della saggezza, che appaiono davanti a lui, sono le irradiazioni della propria potenza psichica. Ci troviamo così la centro della psicologia del mandala lamaitico.
Continuando a seguire all’indietro il Chonyid-bardo, si sale alla visione dei quattro grandi :

1)      il verde Amogha- Siddhi:

2)      il rosso Amitabha:

3)      il giallo Ratna-Sambhava:

4)      il bianco Vajra-Sattva.

Si termina con la splendente luce azzurra del dharma-dhatu, del corpo di Buddha, che proviene, nel centro del mandala, dal cuore di Vairochana.
Con questa visione finale si dissolvono il karma e la sua illusione; la coscienza sciolta da ogni forma e da ogni dominio da parte degli oggetti, ritorna allo stato iniziale, atemporale, del dharma-kaya.
Si raggiunge così, leggendo all’indietro, lo stato chikhai, che compare al momento della morte.
Il libro illustra una via iniziatica alla rovescia, che prepara, in opposizione alle attese escatologiche cristiane, la discesa nel divenire fisico.
Lo scopo vero e proprio del Bardo Thodol è la premura, che fa di certo una strana impressione all’europeo colto del XX (XXI) secolo, d’illuminare il defunto che si trova nel bardo.
La Chiesa cattolica è l’unico luogo del mondo abitato da bianchi dove si possano ancora incontrare tracce sostanziali di una sollecitudine dell’anima dipartita.
Naturalmente il culto dei morti è basato sulla fede nella sovratemporalità dell’anima, ma irrazionalmente sulla necessità psicologica dei viventi di fare qualcosa per i defunti.
Le istruzioni del Bardo Thodol sono così minuziose che ci si domanda se in fin dei conti quei vecchi saggi lama non abbiano gettato uno sguardo nella quarta dimensione, sollevando un po’ il velo che ricopre i grandi segreti della vita.
E’ evidente che l’intero libro sia tratto dai contenuti archetipici dell’inconscio, realtà metafisiche che si trovano soltanto nella realtà dei dati psichici.
Il mondo degli dei e degli spiriti è l’inconscio collettivo in noi ma è anche al di fuori di noi.


 

 La ruota della Vita




                 

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